La registrazione dell’attività elettrica cerebrale rappresenta una pietra miliare nelle neuroscienze, poiché consente di osservare direttamente, in tempo reale, i complessi processi neurofisiologici e cognitivi che, per lungo tempo, sono rimasti nascosti. La prima registrazione effettuata da Hans Berger nel 1924 ha inaugurato una nuova era nella comprensione del cervello, evolvendosi progressivamente in tecniche di elettroencefalografia (EEG) sempre più sofisticate. Queste metodologie non solo permettono di monitorare le dinamiche interne del sistema nervoso, ma offrono anche una finestra privilegiata per l’analisi degli stati cerebrali di base, come il “resting-state”, inteso come lo stato di attività intrinseca che si manifesta in assenza di compiti cognitivi specifici.
L’impatto dell’EEG si è fatto sentire sia sul fronte diagnostico – facilitando l’identificazione e il monitoraggio di patologie neurologiche e psichiatriche, grazie all’analisi dei ritmi alfa, beta e ad altre frequenze – sia in ambito di ricerca di base, permettendo di approfondire la comprensione della fisiologia cerebrale. I contributi teorici e sperimentali di pionieri come Huxley e Bishop hanno posto le fondamenta per gli esperimenti innovativi di Berger, che a loro volta hanno stimolato una vasta mole di studi successivi, includendo anche le più moderne applicazioni cliniche e le interfacce cervello-computer (Brain–Computer Interface, BCI).
L’obiettivo del presente articolo è di ripercorrere il percorso storico e metodologico che ha condotto alla nascita dell’EEG umano, mettendo in luce le sfide tecnologiche e concettuali superate nel tempo. Verranno, inoltre, esaminate le implicazioni cliniche dell’EEG – dalla diagnosi alla personalizzazione delle terapie nel contesto della precision medicine – e le nuove frontiere di ricerca che integrano tecnologie avanzate di elaborazione dati e machine learning per interpretare in maniera sempre più accurata l’attività cerebrale intrinseca.
Parliamo di:
1. Contesto Teorico e Precursori
1.1 Le Intuizioni di Huxley e l’Organizzazione Neurale

Thomas Henry Huxley (1825-1895) fu un influente biologo e filosofo britannico del XIX secolo, soprannominato il “mastino di Darwin” per il suo fervente sostegno alla teoria dell’evoluzione. Fu un instancabile promotore del darwinismo, contrapponendosi al fissismo teologico e conducendo studi sul campo che confermarono le idee di Darwin. Sviluppò un pensiero materialista e agnostico, criticando le filosofie immaterialiste e spiritualiste, e coniò il termine “epifenomeno” definendo in modo influente l’agnosticismo. Fu Presidente della Royal Society e lasciò un’importante eredità intellettuale, influenzando figure come i suoi nipoti Julian, Aldous e Andrew Huxley. In breve, Huxley fu una figura chiave nella diffusione del darwinismo e un pensatore significativo nel panorama scientifico e filosofico del suo tempo. (Fonte)
Nel XIX secolo, la comunità scientifica iniziò a interrogarsi sulla struttura e il funzionamento del sistema nervoso, in particolare su come esso potesse organizzare comportamenti complessi. Un contributo fondamentale a questa riflessione fu offerto da Thomas Henry Huxley nel 1884, durante uno studio sul gambero d’acqua dolce. Huxley sostenne che il sistema nervoso non potesse essere semplicemente inteso come un insieme di fibre isolate, ciascuna capace di rispondere autonomamente agli stimoli periferici. Per rendere più chiara questa idea, egli utilizzò l’analogia del pianoforte: se ogni fibra agisse come un tasto indipendente, ogni movimento muscolare richiederebbe un impulso separato. Invece, il gambero, pur avendo un repertorio comportamentale limitato, è in grado di produrre movimenti coordinati ed efficaci, grazie a un’organizzazione intrinseca delle fibre nervose. Questa osservazione precorritrice evidenzia come l’attività neurale sia caratterizzata da una componente spontanea, capace di orchestrare comportamenti complessi senza il bisogno di stimolazioni continue dall’esterno (Huxley, 1884).
1.2 George Bishop e il Concetto di Attività Endogena
Nel 1933, George Bishop ampliò la comprensione dell’attività cerebrale osservando variazioni cicliche dell’eccitabilità nella corteccia visiva del coniglio durante la stimolazione del nervo ottico. Le sue osservazioni rivelarono che la risposta del cervello agli impulsi provenienti dalla retina non era semplicemente meccanica o uniforme, ma mostrava un andamento continuo e modulato, rispecchiando lo stato mentale globale dell’animale. In altre parole, Bishop ipotizzò che l’attività endogena – quella generata internamente, indipendente da stimoli esterni immediati – giocasse un ruolo cruciale nella modulazione delle risposte sensoriali. Questo concetto è stato successivamente confermato da studi più moderni, che hanno utilizzato tecniche come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’analisi della variabilità trial-to-trial nelle risposte evocate, sottolineando come la percezione e l’azione siano profondamente influenzate dallo stato di attività neurale di fondo (Bishop, 1933; Arieli et al., 1996; Debener et al., 2007).
2. La Scoperta dell’EEG Umano
2.1 I Pionieristici Esperimenti di Hans Berger

Il 6 luglio 1924 segna un momento cruciale nella storia dell’elettroencefalografia (EEG) umano. In questa data, Hans Berger realizzò la prima registrazione dell’attività elettrica cerebrale in un contesto clinico presso la Clinica Psichiatrica di Jena, in Germania. Durante un intervento neurochirurgico su un ragazzo di 17 anni, denominato Patient K e operato dal neurochirurgo Nikolai Guleke, Berger si trovò a dover superare numerose sfide tecniche, in particolare l’elevata resistenza elettrica del cuoio capelluto e del cranio, che ostacolava il passaggio dei segnali. Per ovviare a questo problema, egli adottò una soluzione ingegnosa: posizionò due elettrodi in una breccia ossea, garantendo così un contatto elettrico adeguato.
I segnali rilevati venivano acquisiti tramite un galvanometro a corda di Edelmann, visualizzati su un oscilloscopio e infine registrati su carta fotografica. Pur con strumenti che offrivano una sensibilità limitata, i risultati ottenuti da Berger costituirono la prima prova sperimentale della possibilità di monitorare l’attività elettrica del cervello (Berger, 1929). Il progresso tecnologico continuò: nel 1926 fu introdotto un galvanometro Siemens a doppia bobina, che migliorò significativamente la nitidezza e l’affidabilità delle registrazioni. Nel 1929, Berger pubblicò il suo primo articolo, descrivendo l’attività EEG continua durante lo stato di veglia. Questo studio, basato su dati raccolti da circa 40 soggetti – includendo sia individui sani che soggetti con difetti cranici – fu decisivo per l’affermazione dell’EEG come strumento di indagine neurofisiologica.
2.2 L’Identificazione dei Ritmi Cerebrali e il Paradigma del “Resting-State”
Tra il 1929 e il 1938, Berger ampliò ulteriormente il proprio lavoro registrando l’EEG in diverse condizioni fisiologiche, dalla veglia tranquilla al sonno, dalla narcosi a vari stati cognitivi. Uno dei risultati più rilevanti fu l’identificazione, nel 1930, delle onde alfa, caratterizzate da una frequenza compresa tra 8 e 12 Hz. Queste onde emergono in condizioni di chiusura degli occhi e di rilassamento psicofisiologico, definendo il paradigma del “resting-state” (stato di riposo)– uno stato di attività cerebrale di base che funge da riferimento per lo studio dei processi esecutivi e cognitivi.

Berger osservò inoltre che l’apertura degli occhi e l’esposizione a stimoli sensoriali determinavano la scomparsa o la desincronia delle onde alfa, sostituite da onde beta, che si caratterizzano per frequenze più elevate (14–30 Hz) e sono associate a compiti cognitivi attivi (Berger, 1930). Tali risultati permisero di escludere l’ipotesi secondo cui queste onde potessero rappresentare artefatti generati da funzioni fisiologiche periferiche – come la frequenza cardiaca, la respirazione o la tensione muscolare – e suggerirono invece che esse riflettessero meccanismi di controllo neurofisiologico legati all’arousal corticale e allo stato mentale.
Le scoperte relative all’attività del “resting-state” hanno aperto nuove prospettive di ricerca, consolidando l’uso dell’EEG non solo come strumento diagnostico per la valutazione dei processi cerebrali basali, ma anche per l’identificazione di anomalie funzionali associate a patologie neurodegenerative e psichiatriche (Berger, 1938).

Procedura di montaggio di una cuffia per elettroencefalografia (EEG) sullo scalpo di un soggetto. La cuffia EEG, dotata di elettrodi integrati, viene posizionata accuratamente sulla testa per garantire il contatto ottimale degli elettrodi con il cuoio capelluto. Questa fase preparatoria è cruciale per l’acquisizione di segnali elettroencefalografici di qualità, necessari per lo studio dell’attività cerebrale e per applicazioni cliniche o di ricerca che impiegano l’EEG, La cuffia standardizza il posizionamento degli elettrodi secondo sistemi riconosciuti a livello internazionale (come il sistema 10-20), assicurando la riproducibilità e la comparabilità dei dati EEG acquisiti.
3. Validazione e Sviluppi Successivi
3.1 La Conferma Sperimentale da Parte della Comunità Internazionale

Edgar Douglas Adrian (1889-1977), fisiologo britannico insignito del Premio Nobel per la Medicina nel 1932, è stato una figura chiave nello sviluppo delle neuroscienze moderne, in particolare per i suoi contributi pionieristici all’elettroencefalografia (EEG). Sebbene il Premio Nobel gli sia stato conferito per le sue ricerche sulle fibre nervose periferiche, la conduzione nervosa e la funzione olfattiva, Adrian ha dato un contributo fondamentale anche allo studio dell’attività elettrica cerebrale.Successivamente al conferimento del Nobel, Adrian, in collaborazione con B.H.C. Matthews e altri colleghi, rivolse la sua attenzione all’elettroencefalogramma, strumento inventato da Hans Berger. Grazie all’utilizzo dell’EEG, Adrian e Matthews hanno definito parametri fondamentali per questa tecnica, tra cui la relazione tra le onde cerebrali registrate e diversi stati e stimoli.
Nonostante l’importanza delle scoperte di Berger, la comunità scientifica inizialmente reagì con scetticismo. Le difficoltà legate all’accesso alle pubblicazioni in tedesco e le limitazioni tecnologiche dell’epoca ritardarono il riconoscimento universale dei risultati. Un punto di svolta avvenne nel 1934, quando il neurofisiologo britannico Edgar Douglas Adrian, insieme all’ingegnere Brian Matthews, riuscì a replicare le registrazioni EEG in condizioni di occhi chiusi. Questo esperimento confermò in maniera empirica la presenza delle onde alfa, dimostrando così la riproducibilità dei risultati ottenuti da Berger (Adrian and Matthews, 1934).
Successivamente, nel 1935, Herbert Jasper contribuì in maniera determinante all’introduzione dell’EEG in Nord America. Utilizzando tecniche di registrazione più avanzate e impiegando canali multipli, Jasper non solo corroborò le osservazioni iniziali di Berger, ma definì anche in maniera più precisa le correlazioni tra i diversi ritmi EEG e specifici stati cognitivi e sensoriali (Jasper and Carmichael, 1935).
Herbert Jasper (1906-1999) |
Herbert Jasper (1906-1999) è stato un medico, neurologo e fisiologo canadese considerato, insieme a Hans Berger, uno dei padri dell’elettro-neurofisiologia moderna. Fu il primo scienziato a praticare l’EEG negli Stati Uniti nel 1935, e dal 1939 al 1961 diresse il dipartimento di neurofisiologia e i laboratori di EEG presso il Montreal Neurological Institute (MNI), sotto la guida di Wilder Penfield. La sua competenza nell’esecuzione di EEG corticale durante interventi chirurgici colpì Penfield, con il quale Jasper collaborò strettamente e pubblicò un importante trattato sull’epilessia. Jasper è noto anche per aver codificato il “montaggio ridotto Jasper“, una configurazione di elettrodi EEG utilizzata per tracciati rapidi, monitoraggi intraoperatori, indagini medico-legali sulla morte cerebrale e Holter-EEG. Il montaggio Jasper, che impiega otto elettrodi del sistema 10-20, è ancora oggi ampiamente utilizzato per esplorazioni rapide dell’attività elettrica cerebrale in diverse situazioni cliniche. |
3.2 Le Estese Registrazioni di Frederick Lemere
Negli anni successivi, il neurologo americano Frederick Lemere intraprese una vasta serie di registrazioni EEG, applicando la tecnica sia a soggetti sani sia a pazienti affetti da diverse patologie, quali depressione, schizofrenia, epilessia e quella che all’epoca veniva definita “demenza senile”. I suoi studi misero in evidenza fenomeni quali il rallentamento delle onde alfa e la comparsa di attività oscillatoria patologica, con frequenze in alcuni casi inferiori a 4 Hz. Questi risultati rafforzarono il valore diagnostico dell’EEG, dimostrando come la tecnica potesse identificare anomalie neurofisiologiche e contribuire a una migliore comprensione dei meccanismi alla base di numerose malattie del sistema nervoso (Lemere, 1936; Lemere, 1939).
4. Sviluppi Metodologici e Implicazioni Computazionali
4.1 Dal “Rumore” all’Analisi degli Eventi Evocati
Nel 1929, Hans Berger sollevò una questione fondamentale: qual è l’effetto del lavoro intellettuale sull’attività corticale? Osservò infatti che il pensiero attivo incrementava solo in maniera modesta l’attività cerebrale di base (Berger, 1929; Gloor, 1969). Questa intuizione stimolò ulteriori ricerche volte a esplorare la modulabilità dell’EEG mediante processi volizionali. Studi successivi hanno, ad esempio, dimostrato che soggetti paralizzati possono apprendere a controllare volontariamente specifiche proprietà statistiche dell’EEG, aprendo la strada allo sviluppo di interfacce cervello-computer (Brain–Computer Interface, BCI) che permettono l’interazione con dispositivi robotici e ambienti digitali (Birbaumer and Cohen, 2007).
4.2 L’Avvento dell’Elaborazione Digitale e dei Potenziali Evocati (ERP)
Il periodo post-seconda guerra mondiale vide l’introduzione dei computer elettronici, che rivoluzionarono l’analisi dei dati neurofisiologici. Nel 1954, G. D. Dawson propose il concetto di potenziali evocati mediati dalla mediazione delle risposte, noti come ERP. Questa tecnica si basa sull’averaging delle risposte neurali a stimoli controllati, consentendo di estrarre forme d’onda riproducibili dall’EEG. Grazie all’ERP, è stato possibile effettuare un’analisi dettagliata delle risposte cerebrali, migliorando la correlazione tra gli eventi stimolatori e l’attività neurale e isolando componenti specifiche che altrimenti sarebbero state nascoste dall’attività di fondo.

Figura che illustra una tipica forma d’onda di Potenziale Evento-Correlato (ERP). L’asse orizzontale indica il tempo in millisecondi (ms) successivo alla presentazione di uno stimolo, mentre l’asse verticale rappresenta l’ampiezza del potenziale elettrico in microvolt (µV). La forma d’onda mostra una sequenza di componenti ERP, identificati secondo la loro polarità (P per positiva, N per negativa) e l’ordine di occorrenza temporale. (Immagine da: Original: Choms Vector: Mononomic, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)
Box informativo: Potenziali Evocati (ERP) |
Definizione I potenziali evocati, noti in ambito anglosassone come Event-Related Potentials (ERP), rappresentano risposte elettro-fisiologiche stereotipate del cervello, direttamente innescate da specifici eventi sensoriali, cognitivi o motori. Queste risposte vengono acquisite mediante l’elettroencefalografia (EEG), una tecnica non invasiva che consente di monitorare l’attività elettrica cerebrale nel tempo. Tecnica e Calcolo Durante una registrazione EEG, ogni trial include sia il segnale di interesse (s(t)) che un rumore di fondo (n(t,k)). Per estrarre il segnale inerente allo stimolo, si esegue una media su numerosi trial, riducendo l’influenza del rumore e migliorando il rapporto segnale-rumore (SNR). Formalmente, ogni registrazione può essere descritta come: x(t,k) = s(t) + n(t,k) e la media sui N trial fornisce: x̄(t) = s(t) + (1/N) ∑ₖ n(t,k) che, sotto ipotesi semplificative, consente di ottenere una stima affidabile del segnale d’interesse. Storia e Applicazioni La tecnica ERP ha radici storiche che risalgono al 1924 con Hans Berger, il quale dimostrò la possibilità di registrare l’attività elettrica cerebrale mediante elettrodi posizionati sul cuoio capelluto. Negli anni ’30, i primi ERP furono registrati su soggetti svegli, e successivamente, a partire dagli studi di Grey Walter e colleghi (1964) e Sutton, Braren e Zubin (1965), vennero identificati componenti cognitivi fondamentali come il CNV e il P300. Oggi, gli ERP rappresentano uno strumento essenziale in neuroscienze cognitive e psicofisiologia, utilizzato sia nella ricerca che in contesti clinici per valutare l’integrità e l’efficienza dei processi sensoriali e cognitivi. Punti di Forza e Limiti Risoluzione Temporale: Gli ERP offrono una risoluzione temporale eccellente, permettendo di monitorare la dinamica dei processi neurali in millisecondi. Non Invasività: L’utilizzo dell’EEG rende la tecnica non invasiva, a differenza di altre metodologie come le microelettrodi o la PET. Limitazioni Spaziali: La localizzazione esatta delle fonti neurali resta un problema complesso, tipico degli approcci basati su segnali scalp-recorded. Necessità di Averaging: Il segnale ERP, essendo di ampiezza ridotta, richiede l’averaging di numerosi trial per isolare in modo affidabile il segnale d’interesse dal rumore di fondo. |
4.3 Implicazioni Computazionali e Nuove Frontiere della Ricerca
Con il progresso delle tecnologie informatiche, le modalità di raccolta e analisi dei dati EEG hanno conosciuto una notevole evoluzione. L’impiego di algoritmi avanzati e modelli computazionali ha permesso di esaminare la variabilità trial-to-trial e di studiare in profondità le correlazioni spaziali e temporali tra differenti regioni cerebrali. Tali tecniche hanno evidenziato che l’EEG non si limita a rappresentare risposte evocate, ma include una ricca componente di attività endogena che rispecchia stati mentali complessi e dinamiche interne. Questo approccio ha portato alla formulazione di nuovi modelli teorici, in cui l’attività “spontanea” viene interpretata come parte integrante del funzionamento cognitivo, piuttosto che come semplice “rumore” di fondo.
5. Implicazioni Cliniche e Prospettive Future
5.1 L’EEG nel Monitoraggio e nella Diagnosi delle Patologie Neurologiche
La scoperta dell’elettroencefalografia (EEG) ha avuto un impatto rivoluzionario in ambito clinico, fornendo un metodo diretto per osservare in tempo reale l’attività elettrica cerebrale. La capacità di identificare specifici ritmi – come quelli alfa e beta – ha reso possibile l’uso dell’EEG per il monitoraggio e la diagnosi di numerose condizioni neurologiche e psichiatriche. Ad esempio, alterazioni nei ritmi alfa e beta, o un generale rallentamento delle frequenze, possono indicare la presenza di disturbi quali l’epilessia, la schizofrenia o le patologie neurodegenerative come l’Alzheimer. Inoltre, l’integrazione dell’EEG con tecniche di imaging avanzate, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la magnetoencefalografia (MEG), ha facilitato un approccio multimodale allo studio del cervello. Questa sinergia di metodologie consente una valutazione più completa e accurata dello stato neurofisiologico, supportando l’adozione di terapie personalizzate nel contesto della precision medicine.

(1) Acquisizione del segnale EEG: Elettrodi posizionati sullo scalpo captano l’attività elettrica cerebrale, rappresentata simbolicamente come pensieri direzionali (frecce uscenti dal cervello).
(2 & 3) Array di elettrodi EEG: Un inserto ingrandito (2 & 3) mostra un array di elettrodi ad alta densità, con una dimensione di 4mm indicata, tipico delle interfacce BCI avanzate. Questi elettrodi registrano i segnali elettrici sottostanti, che riflettono le intenzioni dell’utente.
Traduzione in comandi digitali: L’attività cerebrale acquisita viene elaborata da un sistema BCI (non mostrato esplicitamente) che la traduce in comandi digitali.
Output su dispositivo esterno: I comandi digitali si traducono in azioni su un dispositivo esterno, in questo caso rappresentato dallo schermo di un computer che mostra il movimento di un cursore (frecce sullo schermo) in risposta all’attività cerebrale dell’utente.(Immagine da:Balougador, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)
5.2 Le Nuove Applicazioni dell’Interfaccia Cervello-Computer (BCI)
Negli ultimi decenni, l’applicazione dell’EEG si è ulteriormente evoluta, trovando impiego nelle interfacce cervello-computer (BCI). Queste tecnologie sfruttano la possibilità di modulare volontariamente l’attività cerebrale per tradurla in comandi digitali, offrendo nuove opportunità per il recupero funzionale nei pazienti paralizzati e per il controllo di dispositivi assistivi. L’obiettivo attuale della ricerca è migliorare la precisione e la velocità di tali interfacce, integrando algoritmi avanzati di machine learning e tecniche di deep learning. Questi strumenti consentono di interpretare in tempo reale le intenzioni degli utenti, trasformando l’EEG in un efficace mezzo di comunicazione e interazione, con applicazioni che spaziano dal controllo di dispositivi robotici alla creazione di ambienti digitali interattivi.
6. Conclusioni
La scoperta dell’EEG umano ha segnato un punto di svolta nella storia delle neuroscienze, offrendo strumenti preziosi per lo studio diretto dell’attività elettrica cerebrale. Dalle intuizioni precoci di Huxley e Bishop, che già delineavano un quadro complesso e dinamico del sistema nervoso, ai pionieristici esperimenti di Hans Berger che hanno reso visibile, per la prima volta, l’attività elettrica del cervello umano, il percorso storico dell’EEG ha gettato le basi per una vasta gamma di applicazioni cliniche e di ricerca.
Le innovazioni tecnologiche e metodologiche, a partire dai primi galvanometri fino ai moderni sistemi di elaborazione digitale e alle interfacce cervello-computer, hanno progressivamente affinato la capacità di decifrare i segnali neurali, rendendo l’EEG uno strumento imprescindibile sia per la diagnosi che per la comprensione dei meccanismi cerebrali. Oggi, l’approccio multimodale che integra EEG, fMRI, MEG e altre tecniche avanzate rappresenta il nuovo standard per lo studio delle dinamiche cerebrali, offrendo una visione integrata e dettagliata dei processi cognitivi e delle condizioni patologiche.
Il cammino intrapreso dagli studiosi in questi quasi cento anni di ricerca testimonia la capacità della comunità scientifica di innovare continuamente, trasformando le sfide tecnologiche in opportunità per approfondire la conoscenza del cervello umano. Le scoperte e le teorie sviluppate nel corso della storia dell’EEG non solo hanno aperto nuove frontiere nella diagnosi e nel trattamento di malattie neurologiche e psichiatriche, ma hanno anche contribuito a ridefinire il concetto stesso di attività cerebrale, ponendo l’accento su quella componente spontanea e intrinseca che oggi sappiamo essere fondamentale per il funzionamento cognitivo.
In conclusione, il percorso evolutivo dell’EEG rappresenta un esempio emblematico di come la sinergia tra innovazione tecnologica e rigorosa analisi teorica possa portare a scoperte di portata rivoluzionaria. Le intuizioni di pionieri come Huxley e Bishop, unite alle evidenze sperimentali fornite da Hans Berger e successivamente validate da numerosi ricercatori internazionali, hanno trasformato la nostra comprensione del cervello, aprendo la strada a nuove applicazioni cliniche e a ricerche che continueranno a esplorare i misteri dell’attività neurale.
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