Empatia e comportamento prosociale

Empatia e comportamento prosociale

Nell’odierna società, sempre più complessa e interconnessa, la capacità di relazionarsi con gli altri in modo positivo e costruttivo assume un’importanza cruciale. In questo contesto, l’empatia emerge come un’abilità fondamentale per promuovere il benessere individuale e collettivo.

L’empatia, definita come la capacità di comprendere e sentire dentro di sè le emozioni altrui, rappresenta la base di comportamenti prosociali, quali l’aiuto reciproco, la cooperazione, l’altruismo e la solidarietà. Questi comportamenti, a loro volta, contribuiscono a creare un clima sociale più armonioso, basato sul rispetto reciproco e sul sostegno mutuo.

Ipotesi e prime evidenze

Già dagli anni Sessanta, la psicologia sociale e dello sviluppo ha posto un’enfasi crescente sulle forme positive di interazione sociale, tra cui l’aiuto reciproco, la partecipazione, il conforto, l’altruismo e la cooperazione. In questo ambito, l’empatia è stata riconosciuta come un’esperienza chiave per contrastare i comportamenti aggressivi e favorire la coesione sociale.

Tra i modelli teorici più noti spicca quello di Martin Hoffman, il quale attribuisce un ruolo centrale alle componenti emotive ed affettive nel comportamento morale. Secondo Hoffman, il senso di colpa deriva dall’empatizzare con la sofferenza della vittima, spingendo l’individuo ad agire per alleviare tale sofferenza.

Hoffman ha condotto numerosi studi volti a potenziare le capacità empatiche negli studenti in difficoltà, dimostrando che un aumento dell’empatia corrispondeva ad un incremento dei comportamenti sociali positivi.

L’idea che l’empatia sia un facilitatore chiave del comportamento prosociale è stata ampiamente diffusa. In linea con questa ipotesi, diverse ricerche hanno evidenziato una correlazione positiva tra empatia e comportamenti altruisti.

Tuttavia, studi successivi hanno messo in luce la complessità di questa relazione, evidenziando che non sempre è diretta e lineare. Ad esempio, Underwood e Moore (1982), esaminando la relazione tra altruismo e tre categorie di “perspective taking” (percettiva, cognitiva e affettiva), hanno rilevato una correlazione significativa solo nelle prime due categorie, mentre non è stata trovata alcuna associazione con la “perspective taking” affettiva, spesso considerata la forma più strettamente legata all’empatia.

Distinguere empatia e comportamento prosociale:

Eisenberg e Fobes (1990) hanno proposto un approccio più sfumato, distinguendo i costrutti di empatia e comportamento prosociale come categorie sovordinate. Secondo questa prospettiva, l’empatia può includere una vasta gamma di reazioni emotive, come simpatia, contagio emotivo, disagio personale e “role-taking” affettivo. Il comportamento prosociale, invece, comprende condotte interpersonali positive, come altruismo, aiuto concreto e altri comportamenti sociali positivi.

L’Empatia vera e propria

Eisenberg e Fobes (1991) propongono inoltre di differenziare le reazioni emotive dall’empatia vera e propria (“truly empathy“). L’empatia vera e propria si caratterizza per la capacità di comprendere e condividere le emozioni altrui, non solo a livello emotivo, ma anche cognitivo e motivazionale.

Fattori che influenzano la relazione tra empatia e comportamenti prosociali

La relazione tra empatia e comportamento prosociale può essere influenzata da una serie di fattori individuali, sociali e contestuali. Ad esempio, le differenze individuali in termini di tratti di personalità, valori e stili cognitivi possono modulare l’impatto dell’empatia sui comportamenti prosociali.

L’empatia vera e propria, come sottolineato correttamente, si differenzia da altre reazioni emotive spesso associate ad essa. La risposta emotiva identica, caratterizzata da un’esperienza emotiva molto simile a quella osservata nell’altro, rappresenta un aspetto centrale dell’empatia vera e propria.

Tuttavia, è importante distinguere questa risposta da:

  • Simpatia: Una reazione emotiva orientata verso l’altro, in cui prevalgono sentimenti di pietà e compassione. La simpatia può portare a comprendere la sofferenza altrui, ma non necessariamente a motivare un’azione concreta per alleviarla.
  • Disagio personale: Una reazione emotiva negativa provocata dalla percezione della necessità dell’altro. In questo caso, l’attenzione è rivolta principalmente al proprio stato di disagio, piuttosto che al miglioramento della situazione dell’altro.

Altruismo e azioni di vantaggio:

L’altruismo, spesso associato all’empatia, non sempre si traduce in azioni disinteressate. Come evidenziato, il beneficio altrui può derivare da motivazioni egoistiche, come il desiderio di compiacere gli altri o di ottenere un vantaggio personale.

Per questo motivo, è importante distinguere l’altruismo puro, motivato da un genuino desiderio di aiutare gli altri, da azioni di vantaggio che, pur comportando un beneficio per l’altro, non sono guidate da un’autentica empatia.

Le risposte emotive per ridurre il disagio personale

Le risposte emotive, come l’ansia e lo sconforto, suscitate dalla sofferenza altrui, possono spingere gli individui ad agire per alleviare la tensione interna generata da tali emozioni.

In questo senso, l’aiuto fornito può essere motivato dal desiderio di ridurre il proprio disagio, piuttosto che da una reale comprensione e condivisione dei sentimenti dell’altro.

Modelli di sviluppo dell’empatia.

Diversi modelli teorici tentano di spiegare lo sviluppo dell’empatia e la sua relazione con il comportamento prosociale. Tra questi, l’approccio evolutivo, rappresentato da studiosi come Aronfreed (1968) e Hoffmann (1975; 1982). Il primo propone che l’empatia si sviluppi attraverso un processo di condizionamento. Secondo questa teoria, il bambino impara ad associare gli indici facciali alle emozioni corrispondenti, comprendendo che evocare emozioni positive negli altri può portare piacere anche a sé stesso.

Martin Hoffman, psicologo dello sviluppo, ha sottolineato la natura impulsiva delle risposte altruistiche nei bambini. Secondo Hoffman, tali risposte, sostenute da sentimenti empatici, possono emergere già dal primo anno di vita, indipendentemente da scopi egoistici. Il bambino, osservando la sofferenza altrui, mette in atto comportamenti volti ad alleviarla, spinto da una sorta di “contagio emotivo”.

Tuttavia, la tendenza egocentrica tipica dei bambini piccoli può portare ad attuare gli stessi comportamenti che il bambino userebbe per alleviare il proprio disagio. Solo con il progredire dell’età e l’acquisizione del “role-taking”, la capacità di assumere la prospettiva dell’altro, il bambino diventa in grado di comprendere gli stati emotivi e situazionali della persona in difficoltà e mettere in atto comportamenti di aiuto più appropriati.

Modelli socio-cognitivi:

Altri modelli, come quello di Alan Fiske e Susan Piliavin (2003), si concentrano sui processi socio-cognitivi che influenzano l’empatia e il comportamento prosociale. Secondo questi modelli, l’osservazione di una persona in difficoltà attiva una risposta emotiva che può essere contenuta o intollerabile.

Nel caso di una forte attivazione emotiva, l’osservatore potrebbe emettere un comportamento di aiuto impulsivo, volto principalmente ad alleviare il proprio stato psicologico negativo. Se invece il soggetto è in grado di modulare la sua risposta emotiva e di valutare le alternative comportamentali, potrebbe scegliere di mettere in atto un comportamento meno costoso.

Comportamento prosociale e Motivazioni egoistiche e altruistiche:

In entrambi i modelli, emerge la complessità delle motivazioni che guidano il comportamento prosociale. L’empatia e il desiderio di aiutare gli altri possono essere accompagnati da motivazioni egoistiche, come il bisogno di alleviare il proprio disagio o di ottenere un riconoscimento sociale.

Daniel Batson (1991), psicologo sociale, riprende la teoria di Susan Piliavin (1981) sul comportamento prosociale, proponendo tre possibili strade che possono portare un individuo ad aiutare una persona in difficoltà. Tutte e tre le strade hanno origine dall’attivazione emotiva che segue l’osservazione di un soggetto in stato di bisogno.

1. Motivazione orientata alle conseguenze:

L’attivazione emotiva non è sufficiente a far scattare il comportamento d’aiuto. L’osservatore, per agire, deve essere sicuro che il suo comportamento avrà conseguenze positive (ad esempio, ricompense o accrescimento dell’autostima) o che gli permetterà di evitare conseguenze negative (come sensi di colpa o disapprovazione sociale).

2. Motivazione di riduzione del disagio:

Il comportamento d’aiuto può essere motivato dal desiderio di ridurre lo stato di disagio empatico indotto nell’osservare una persona in stato di bisogno. Se però la situazione offre una via di fuga per evitare di sostenere dei costi (tempo, fatica, risorse), l’individuo tenderà a preferire questa soluzione.

3. Motivazione empatica e altruistica:

L’osservazione di un altro individuo in difficoltà può portare l’osservatore a immedesimarsi in esso e a condividere la sua situazione emotiva. In questo caso, il comportamento scelto sarà di tipo altruistico, finalizzato al reale miglioramento della condizione dell’altro, indipendentemente dai costi o dai benefici per sé.

Limiti dei modelli

Batson sottolinea che questi modelli, pur offrendo una spiegazione più sfumata del comportamento prosociale rispetto al modello originale di Piliavin, possono essere considerati validi solo per gli adulti. I bambini, infatti, non hanno ancora sviluppato la capacità cognitiva necessaria per valutare compiutamente i costi e i benefici di un intervento di aiuto, né per comprendere appieno le emozioni complesse degli altri.

Difficoltà e contraddizioni nella ricerca:

Le difficoltà e le contraddizioni che hanno caratterizzato lo studio delle relazioni tra empatia e comportamento prosociale evidenziano la complessità di questo fenomeno. Come sottolineato da Batson, il grado di associazione tra le due variabili dipende molto dagli strumenti utilizzati per misurarle.

Limiti dei resoconti verbali e questionari autovalutativi

Nel tentativo di fare chiarezza sulla complessa relazione tra empatia e comportamento prosociale, Eisenberg e Miller(1986) hanno proposto una mappatura degli strumenti utilizzati e delle differenze di associazione tra le due variabili emerse da diverse ricerche.

In uno studio, ad esempio, il livello di condivisione di affetti è stato valutato sia attraverso storie figurate e resoconti verbali, sia attraverso il comportamento prosociale misurato da valutazioni di insegnanti e genitori. Gli autori osservano che nei resoconti verbali, la risposta potrebbe essere motivata dalla conformità alle aspettative sociali, piuttosto che dalla reale capacità di condividere gli affetti altrui. Questo potrebbe distorcere la relazione tra empatia e comportamento prosociale, in quanto ciò che viene misurato come empatia potrebbe in realtà riflettere il desiderio di conformarsi alle norme sociali.

Un’altra spiegazione per le differenze di associazione tra empatia e comportamento prosociale può derivare dall’utilizzo di questionari autovalutativi. Questi strumenti, generalmente composti da diversi item che esplorano diverse dimensioni dell’empatia, potrebbero facilitare la relazione tra le due variabili offrendo al soggetto una vasta gamma di situazioni in cui descrivere le proprie reazioni empatiche.

Tuttavia, è importante chiedersi a quali aspetti emotivi siano legate le condotte prosociali e l’altruismo. Non tutte le componenti dell’empatia potrebbero avere la stessa influenza sul comportamento prosociale. Ad esempio, la capacità di comprendere le emozioni altrui potrebbe essere più strettamente legata all’altruismo rispetto alla semplice condivisione emotiva.

Indici somatici

L’utilizzo di indici somatici, come il battito cardiaco, può fornire informazioni utili sulla reazione emotiva di un soggetto di fronte a stimoli che potrebbero evocare empatia. Allo stesso modo, i questionari autovalutativi possono permettere di indagare le percezioni e le esperienze emotive del soggetto.

Il battito cardiaco può essere un indicatore utile per predire la probabilità che un individuo metta in atto un comportamento prosociale. Una decelerazione del battito cardiaco durante l’osservazione di una persona in difficoltà potrebbe indicare che la situazione non è percepita come fonte di disagio, permettendo al soggetto di valutare cognitivamente la situazione e mettere in atto un comportamento di aiuto.

Al contrario, un’accelerazione del battito cardiaco, che potrebbe segnalare paura o ansia, potrebbe ostacolare la capacità del soggetto di agire in modo prosociale.

Tuttavia, come sottolineato correttamente, la relazione tra empatia e comportamento prosociale non è sempre lineare e diretta. Diversi fattori possono influenzare questa relazione, tra cui il tipo di stimolo utilizzato (storie, filmati televisivi), le caratteristiche individuali del soggetto e il contesto in cui si verifica l’interazione.

Limite degli indici somatici

Un limite significativo nell’utilizzo di indici somatici è la difficoltà di distinguere tra empatia e disagio personale. La risposta emotiva di un soggetto di fronte alla sofferenza altrui potrebbe essere motivata da entrambi i costrutti.

Ad esempio, un aumento del battito cardiaco potrebbe indicare sia empatia (condivisione del dolore altrui) che disagio personale (ansia, paura di fronte alla sofferenza). Allo stesso modo, un soggetto potrebbe rispondere a un questionario sull’empatia in modo da conformarsi alle aspettative sociali, piuttosto che per riflettere le proprie autentiche esperienze emotive.

Empatia e competenza sociale

Negli ultimi anni, la ricerca ha iniziato a distinguere in modo più preciso il comportamento cooperativo da quello prosociale. Il comportamento cooperativo si riferisce a una condotta finalizzata al raggiungimento di un obiettivo che è sia individuale che sociale. Si basa sull’esigenza di coordinare gli scopi personali con quelli degli altri e di individuare nuove tipologie di comportamento all’interno di questo processo.

Distinzione dal comportamento prosociale:

Mentre il comportamento prosociale è generalmente definito come un’azione che beneficia gli altri, indipendentemente dai motivi del soggetto, il comportamento cooperativo si distingue per la sua natura interdipendente. In altre parole, il raggiungimento dell’obiettivo richiede la collaborazione e il coordinamento tra individui che perseguono fini comuni.

Studi precedenti:

Nei primi studi sul comportamento cooperativo, questo veniva spesso sovrapposto alla socievolezza o alla competenza interpersonale. Le ricerche si concentravano principalmente sui bambini in contesti di gioco o di lavoro coordinato.

Nuove direzioni di ricerca:

Recenti studi hanno sottolineato la necessità di superare una visione lineare della relazione tra empatia e diverse manifestazioni sociali. I ricercatori propongono di considerare non solo singoli costrutti, ma la rete di connessioni che si possono stabilire tra tutte le variabili in gioco.

Questa nuova prospettiva mira a comprendere la complessità delle relazioni tra empatia, intelligenza sociale, abilità cognitive, motivazioni e contesti sociali. L’obiettivo è di identificare i fattori che influenzano il comportamento cooperativo in modo più preciso e di sviluppare interventi più efficaci per promuovere la collaborazione e la coesione sociale.

Il modello di Davis (1994)

il modello di Davis, esplora la complessa interazione tra le disposizioni personali, gli stati soggettivi, i comportamenti e le dinamiche di scambio personale. Questo modello mette in luce come le risposte dei soggetti influenzino e siano influenzate dalle percezioni degli altri in un processo di feedback continuo.

Secondo Davis, il modo in cui rispondiamo agli altri determina l’idea che questi si fanno di noi. Questo concetto può ricordare un gioco di specchi, dove ogni azione genera una reazione che ci viene rimandata. Ad esempio, se una persona risponde in modo empatico e comprensivo, è probabile che gli altri la percepiscano come affidabile e accogliente.

Se una persona non riesce a entrare in sintonia con gli altri, può sentirsi rifiutata, sviluppando ansia e preoccupazione. Questo stato d’animo negativo può essere percepito dagli altri, creando un ciclo di percezioni negative. L’empatia è centrale nel creare e mantenere una reputazione sociale positiva. Essere capaci di comprendere e rispondere alle emozioni degli altri ci permette di instaurare relazioni positive e durature.Al contrario, comportamenti aggressivi possono danneggiare la nostra reputazione, rendendoci percepiti come inaffidabili o ostili.

Le impressioni che gli altri si formano su di noi tendono a stabilizzarsi nel tempo, creando una sorta di etichetta che influenza le future interazioni. Questo processo può essere visto come una reciprocità continua, dove le risposte altrui modulano il nostro comportamento e viceversa.La capacità di leggere e interpretare correttamente le emozioni degli altri è fondamentale per comportamenti prosociali. Questa abilità facilita la costruzione di relazioni basate sulla fiducia e sulla comprensione reciproca.

Relazione tra percezione di sé e la reputazione sociale

Lo Coco ha condotto una ricerca per indagare la relazione tra la percezione di sé come bambino empatico e la reputazione sociale tra i coetanei. I bambini sono stati suddivisi in tre gruppi:

  • Molto empatici: bambini che si definiscono con un alto livello di empatia.
  • Poco empatici: bambini che si definiscono con un basso livello di empatia.
  • Controllo: bambini con un livello di empatia medio.

Metodo di valutazione:

Per misurare la reputazione sociale, si è utilizzato un gioco in classe in cui i bambini dovevano assegnare le parti di una recita ipotetica ai compagni, scegliendo chi secondo loro era più adatto a ciascun ruolo. Le dimensioni comportamentali valutate erano:

  • Leadership -Socievolezza
  • Aggressività -Distruttività
  • Isolamento – Sensibilità

Risultati:

  • Leadership e socievolezza: I bambini molto empatici hanno ottenuto punteggi più alti in queste dimensioni rispetto ai bambini poco empatici.
  • Aggressività e distruttività: Non si osservano differenze significative tra i bambini molto empatici e quelli poco empatici, a eccezione di un caso: i bambini molto empatici sono percepiti come più aggressivi dal gruppo di controllo.
  • Isolamento e sensibilità: Non si rilevano differenze significative tra i tre gruppi.

Discussione:

Lo studio evidenzia che i bambini che si definiscono più empatici tendono ad avere una reputazione sociale positiva e ad essere percepiti come leader e socievoli. Tuttavia, l’eccezione relativa alla percezione di aggressività nei bambini molto empatici da parte del gruppo di controllo suggerisce che la relazione tra empatia e reputazione sociale non è lineare e può essere influenzata da altri fattori.

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Pubblicato da altrimondi

S.Aboudan PhD in Psicofisiologia del sonno Università degli Studi di Firenze

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