L’esperienza matura dell’empatia richiede la capacità di distinguere tra sé e l’altro e la comprensione della permanenza dell’oggetto. Se la partecipazione empatica si definisce come un proprio sentire dentro l’altro, è anche vero che questa condivisione non può avvenire se questo sentire non è adeguatamente riconosciuto.
Quando si parla di processi cognitivi come precursori dell’attivazione e modulazione empatica, si vuole sottolineare che essi sono prerequisiti fondamentali. Perché usare il termine precursori invece di mediatori? I precursori sono le condizioni indispensabili per lo sviluppo di capacità più complesse dell’empatia. I mediatori, invece, sono semplicemente caratteristiche che influenzano come certi comportamenti si manifestano.
In realtà, i processi cognitivi possono essere visti sia come precursori, in quanto condizione essenziale per l’esperienza empatica, sia come mediatori, poiché, una volta acquisiti, modulano il tipo e l’intensità della risposta empatica.
Empatia e Riconoscimento delle Espressioni Emotive
La capacità di riconoscere ed esprimere emozioni può essere vista da due prospettive principali. La prima sostiene che questa capacità è regolata da un meccanismo di retroazione a feedback biologicamente fondato, specie-specifico e trasmesso filogeneticamente. Secondo questa visione, le emozioni sarebbero innate nei loro elementi fondamentali, universali e culturalmente indipendenti. L’universalità si basa sull’idea che esiste una corrispondenza diretta tra lo stato emotivo e l’espressione mimica.
La posizione opposta, invece, ritiene che il bambino impari a riconoscere e manifestare le emozioni attraverso esperienze culturali e linguistiche nel contesto in cui cresce. Secondo la teoria di Russell, le emozioni inizialmente vengono categorizzate in due dimensioni: piacere-dispiacere e attivazione-passività. Con il tempo, il bambino impara a riconoscere la specificità delle emozioni attraverso la formazione di “copioni” o “script“. Attraverso l’esperienza, il bambino comprende le sequenze comportamentali e le determinanti culturali specifiche di un contesto.
L’ipotesi che esista una corrispondenza costante tra stati emotivi e espressioni mimiche facilita un riconoscimento emotivo immediato e non referenziale. Fin dalla nascita, il bambino sembra essere biologicamente predisposto a manifestare e rispondere ai segnali socio-emotivi, poiché questi comportamenti sono essenziali per la sua sopravvivenza.
A partire dagli studi di Darwin, ripresi da Burke, si è dimostrato che i bambini iniziano a manifestare e discriminare diverse situazioni emotive già a due mesi. Essi sono capaci di analizzare le espressioni facciali e, a cinque mesi, di discriminare emozioni come rabbia, felicità e sorpresa. Questa capacità è cruciale perché regola il comportamento del bambino in risposta ai segnali ricevuti dall’ambiente. Dal secondo anno di vita, il bambino diventa capace di attribuire uno scopo emotivo alle espressioni facciali, imparando a discriminare anche le intonazioni vocali e altre modalità espressive.
Inizialmente, il bambino usa le espressioni emotive altrui come fonti di informazioni per sé, ma combinando queste con una risposta emotiva, impara che determinate espressività indicano specifici stati interni. La comprensione che ognuno ha stati interni differenti è un passo avanti per la condivisione empatica. Successivamente, il bambino apprende che esistono regole sociali per l’esibizione delle emozioni e che una certa mimica non corrisponde sempre fedelmente a uno stato interno. Questa capacità si acquisisce lentamente e varia da cultura a cultura.
Uno studio condotto da Tani ha mostrato, attraverso la decodifica di espressioni facciali, che non esistono differenze di genere nel riconoscimento delle emozioni. Tuttavia, si pongono domande sulla capacità di provare empatia. La capacità di riconoscimento facciale è un prerequisito per l’empatia, poiché per entrare in sintonia con l’altro è necessario comprenderne gli indici facciali.
È importante notare che la comprensione degli stati emotivi non si riduce alla semplice codifica degli indici espressivi, ma richiede una valutazione attenta del contesto sociale. Solo così si può cogliere l’esperienza psicologica ed emotiva che l’espressione rimanda. Gli stimoli situazionali acquisiscono molta importanza, permettendo di comprendere emozioni senza basarsi esclusivamente sulle espressioni facciali. Per esempio, di fronte a stimoli ambigui, i bambini più piccoli si basano principalmente sull’espressione facciale, mentre i più grandi utilizzano indici situazionali.
Il riconoscimento dello stato emotivo dell’altro non si traduce necessariamente in una condivisione empatica, poiché può persistere l’indifferenza. Rappresenta un prerequisito necessario, ma non sufficiente.
Empatia e Comunicazione Referenziale
Nel processo di decentramento del soggetto, la comunicazione referenziale gioca un ruolo fondamentale. Essa implica considerare, nella comunicazione verbale, sia gli elementi salienti della situazione sia le informazioni che l’interlocutore possiede a riguardo. Nonostante le ricerche in questo ambito siano scarse, Lo Coco ha cercato di dare una svolta significativa agli studi esistenti.
Lo Coco ha ideato una prova che sottopone il bambino a due compiti specifici. Il primo è un compito di comunicazione referenziale. Al bambino vengono dati cinque cartoncini differenti per forma, colore, posizione, ecc. Gli viene poi chiesto di descrivere uno di questi cartoncini a un ascoltatore immaginario. Il messaggio del bambino viene classificato come:
- Discriminativo: se include attributi distintivi dell’oggetto.
- Sovrabbondante o ridondante: se include sia attributi distintivi sia non distintivi.
- Non informativo: se non include attributi distintivi.
Il secondo compito è una valutazione della prospettiva. Al bambino viene chiesto di valutare se, sulla base delle informazioni ricevute, l’ascoltatore è in grado di individuare l’oggetto prescelto.
L’analisi dei dati ha rivelato una correlazione positiva tra la capacità di rispondere empaticamente e l’abilità nella comunicazione referenziale. Infatti, mettere l’altro nella condizione di comprendere il messaggio inviato rappresenta un’importante componente cognitiva della responsabilità empatica. Inoltre, riuscire a comunicare all’interlocutore che il suo stato d’animo è stato compreso costituisce un mezzo fondamentale di comunicazione empatica.
Questi risultati evidenziano l’importanza di sviluppare abilità di comunicazione referenziale per migliorare la capacità empatica. Essere in grado di trasmettere informazioni in modo chiaro e comprensibile non solo facilita la comprensione reciproca, ma rafforza anche il legame empatico tra gli individui.
Perspective Taking ed Empatia
Nei primi studi sul role taking, esso veniva trattato come un costrutto unidimensionale. Tuttavia, ricerche successive hanno messo in luce la sua multidimensionalità, distinguendo tra una dimensione percettiva, una cognitiva e una emotiva. Poiché la dimensione emotiva coincide con la definizione di empatia, cioè l’abilità del soggetto di valutare lo stato emotivo di un’altra persona e di rispondere affettivamente e in modo appropriato, prenderemo in considerazione le prime due: il role taking di tipo percettivo e quello di tipo cognitivo.
Il role taking percettivo riguarda come un oggetto che occupa una diversa posizione fisica nello spazio si presenta a qualcun altro che occupa una posizione diversa nello spazio. Invece, il role taking cognitivo studia come l’individuo inferisce i pensieri, i motivi e le intenzioni dell’altro. Il role taking percettivo, comunemente chiamato perspective taking, come evidenziato dagli studi piagetiani, si basa sull’abbandono dell’egocentrismo infantile e sul progressivo sviluppo delle capacità di decentramento. Gli esperimenti di Piaget sulla prova delle tre montagne mostrano che il perspective taking è un prerequisito essenziale per assumere il punto di vista dell’altro.
La professoressa Tani ha condotto uno studio su quanto il role taking influenzi la capacità di condividere empatia. La sua ricerca si è basata su un campione di 206 bambini. Per rilevare la capacità empatica è stata utilizzata la versione italiana della scala di Feshbach, mentre la capacità di perspective taking è stata misurata attraverso la prova della Barchetta. In questo esperimento, un tavolo di compensato con due pulegge legate a fili che muovono una barchetta di legno, permette a due bambini di lavorare insieme per far navigare la barchetta lungo un percorso tracciato, evidenziato da un pennarello fissato sulla barca.
Nell’analisi del perspective taking, Tani ha misurato il numero di errori, ovvero il numero di volte in cui il percorso tracciato dalla barchetta è uscito dai margini, e la persistenza degli errori. Dai risultati emerge che le femmine sono più capaci sia nel role taking che nella condivisione empatica. Inoltre, la capacità di perspective taking influisce significativamente sulla capacità di provare empatia, con la persistenza che risulta l’indice più influente. Questo suggerisce che ciò che incide maggiormente sull’empatia è la capacità di accordare tempestivamente il proprio punto di vista con quello altrui.
L’analisi dettagliata dei dati rivela che nei maschi l’esperienza empatica sembra essere collegata alla capacità di riconoscere le emozioni, mentre nelle femmine è soprattutto la capacità di perspective taking a giocare un ruolo chiave. Questo implica che, mentre tutti possono sviluppare empatia, i percorsi e le capacità che la supportano possono differire tra i sessi.
Role Taking
Le prove di role taking si basano su abilità cognitive che permettono di verificare il decentramento della persona. Lo Coco ha voluto esplorare il rapporto tra empatia e role taking nella tarda infanzia. Ai bambini di 9-10 anni è stata somministrata una prova di comprensione degli eventi sociali. Questa prova comprendeva quattro storie narrate, in cui accadevano eventi a bambini della stessa età e sesso dei soggetti studiati. Successivamente, veniva chiesto ai soggetti di mettersi nei panni del protagonista e rispondere a domande per accertare se fossero in grado di adottare il punto di vista del personaggio.
I bambini sono stati divisi in due gruppi:
- Buoni possessori di capacità di role taking (75%)
- Cattivi possessori di capacità di role taking (25%)
I risultati hanno mostrato una correlazione modesta tra empatia e role taking, poiché la comprensione dello stato d’animo altrui non sempre porta a una condivisione empatica. La comprensione dei pensieri altrui sembra coinvolgere maggiormente le femmine rispetto ai maschi. Per spiegare questo dato, si sono considerati i differenti modelli educativi che potrebbero indirizzare le femmine a una maggiore sensibilità.
La capacità di rappresentarsi lo stato interno altrui ha trovato una nuova cornice teorica negli studi sulla teoria della mente. Questa teoria considera lo sviluppo della capacità di rappresentazione di secondo livello, ovvero la capacità di rappresentarsi ciò che l’altro si sta rappresentando. Le ricerche in questo ambito hanno evidenziato che già a quattro anni, i bambini sono capaci di intendere la mente come un sistema di rappresentazione e di pensare ciò che l’altro pensa.
Questa capacità emerge in situazioni intenzionali, cioè quando il bambino cerca di raggiungere un’intenzionalità condivisa tramite lo sguardo o il pointing. Tali intenzionalità rappresentano l’inizio della protocomunicazione, indicando l’interesse per una soggettività condivisa, base per il formarsi di nuovi comportamenti comunicativi. Tuttavia, questi meccanismi protocomunicativi non corrispondono ancora a una teoria della mente pienamente sviluppata, ma rappresentano il risultato della condivisione tra interlocutori degli stessi sistemi percettivi.
Questo fenomeno richiama il concetto di intersoggettività innata primaria, dove le emozioni fungono da ponte tra le menti di ogni età. Comprendere gli stati interni degli altri sarebbe quindi naturale, dato che l’organismo risponde agli stimoli presenti nel suo ambiente. In altre parole, è attraverso la condivisione emotiva che la mente altrui diventa accessibile, come nel caso del neonato che entra in contatto con la mente della madre.
In conclusione, mentre il role taking e la teoria della mente sono elementi fondamentali per la comprensione e la condivisione empatica, è importante riconoscere che questi processi evolvono e si raffinano nel tempo, influenzati sia da fattori innati che da esperienze educative e culturali.