Alla fine dell’800 lo studio del sogno impiega la metodologia della psicologia sperimentale. Il progresso della scienza spinse gli scienziati a spostare il sogno da un piano trascendente e immateriale ad un piano fisico in cui fosse possibile identificare dei parametri misurabili e quantificabili. Lo studio del sogno inizia in questo modo ad impiegare un approccio sperimentale.
Maury
Vaschide nel suo libro “Le sommeil et les reves” (1911) fa risalire agli studi di Maury l’inizio dell’indagine sistemica sul sogno . Con questo autore, infatti, nasce il metodo soggettivo dello studio del sonno attraverso l’utilizzo sistematico del diario del sogno (tecnica diaristica sui propri sogni).
Inoltre, Maury introduce la tecnica del risveglio provocato. Una persona (il ricercatore) ha il compito di svegliare il soggetto in specifici momenti dell’episodio di sonno in modo da poter verificare il ricordo dell’attività onirica.
In questo modo Maury cerca di cogliere il sogno sul nascere, nel momento in cui “ la memoria del sogno al quale sono stato improvvisamente strappato è ancora presente nella mia mente, nella freschezza stessa dell’impressione”(Maury, 1865). Secondo l’autore l’analisi del sogno passa attraverso l’introspezione. Dopo un intervento esterno atto a svegliare il soggetto (risveglio provocato), il seguito dell’esperimento è basato sulla capacità soggettiva a cogliere, riportare ed infine valutare la propria attività onirica.
L’autore considera il sogno come un fenomeno legato ad alcune parti del sonno: in particolare egli si concentra sulla fase di addormentamento (immagini ipnagogiche) e del risveglio (immagini ipnapompiche).
Le immagini ipnagogiche sono caratterizzate da alcuni elementi:
- La loro comparsa è vissuta come spontanea ed intrusiva (McKellar, 1957), Maury le paragonò all’improvviso manifestarsi di volti nell’oscurità.
- Sono vissute passivamente. Leaning (1925), McKellar e Simpson (1954) le assimilarono ad una rappresentazione drammatica di fronte alla quale il soggetto si comporta da spettatore
- Sono vissute con il carattere concreto e vivido della cosa vista e non semplicemente immaginata (Bertini, 1968)
- Vengono localizzate nello spazio esterno (McKellar e Simpson, 1954)
- Interessano tutti i campi dell’attività sensoriale.
- Sono descritte allucinazioni visive (Maury, 1848, Leaning, 1925, Foulks e Vogel, 1965, Bertini, 1968, Bosinelli e Molinari, 1968) che possono assumere la forma di flashes di colori, luci disegni geometrici, strutture astratte e amorfe, linee colorate, oggetti statici, volti spesso grotteschi dall’aspetto sinistro e minacciso, visi dall’espressione piacevole e sorridente, paesaggi dotati di inusuale bellezza.
- Le allucinazioni acustiche possono essere rappresentate dal semplice sentirsi chiamare per nome (Maury, 1848, Leaning, 1925), oppure dal colloquio fra due persone (Leaning, 1925), o, infine, da suoni o brani musicali anche di struttura assai complessa (McKellar, 1957).
- Possono manifestarsi anche allucinazioni tattilo-cenestetiche (McKellar e Simpson, 1954), descritte come sensazioni di galleggiamento, di caduta nel vuoto, di torsione del corpo e simili (Bertini, 1968).
- Sebbene assai più rare sono riportate in letteratura anche allucinazioni ipnagogiche di carettere termico (McKellar, 1957), olfattivo (Leaning, 1925; McKellar, 1957) e gustativo (Leaning, 1925).
I primi studi sperimentali sul sogno nascono con lo scopo di capire quali sono i processi che portano alla formazione del sogno e in particolare l’inclusione di materiali stimoli nel contesto del sogno.
Secondo Maury, i sogni non sono altro che una ricostruzione delle impressioni arrivate alla mente dall’interno o dall’esterno durante il sonno: queste impressioni associandosi ai ricordi del soggetto creano i sogni.
A questo proposito Maury riporta un sogno:
“Mi ricordo di essermi addormentato, una volta, durante l’infanzia, a causa del gran caldo. Sognai che mi avevano messo la testa su un’incudine e che la martellavano con colpi ripetuti. Nel sogno sentivo molto distintamente il rumore dei pesanti martelli. Ma per uno strano effetto, invece di essere frantumata, la mia testa si scioglieva in acqua: si sarebbe potuto dire che fosse fatta di cera molle. Mi sveglio e sento il volto inondato di sudore, traspirazione che non era dovuta che al grande calore. Ma la cosa più notevole è che sento in un cortile vicino, abitato da un maniscalco i colpi molto reali di martelli. Senza dubbio era stato quel suono ad essere trasmesso dalle mie orecchie al mio animo intorpidito”.
La nascita dell’approccio psicofisiologico allo studio sogno
Verso la metà del 1950 vi è una svolta nella studio dell’attività onirica grazie alle nuove tecniche di laboratorio: la nascita dell’elettroencefalografia a opera di Berger (1929) permise di scoprire che i potenziali elettrici cerebrali variavano a secondo dello stato di vigilanza del soggetto, inducendo a ipotizzare diverse modalità di funzionamento a livello cortico-sottocorticale.
L’interesse dei ricercatori si sposta da un’indagine preminentemente di natura psicologica del fenomeno onirico a una ricerca più ampia e obiettiva del sonno. Il sogno avrebbe rappresentato solo una sua manifestazione.
La scoperta nel 1953 ad opera di Aserinsky e Kleitman del sonno REM ha dato luogo successivamente ha una notevole mole di lavori non solo sugli aspetti neurofisiologici del sonno, ma anche a quelli psicologici, e in particolare il sogno. Le prime ricerche, inoltre, confermarono questa teoria, e spesso considerarono le componenti fisiologiche del sonno REM come l’espressione del sogno. Questo tipo di sonno, così particolare per aspetti fisiologici e neurovegetativi, conteneva delle attività fasiche e toniche (movimenti oculari rapidi, EEG desincronizzato, attivazione del Sistema Nervoso Autonomo…) che sembravano decisive per la produzione del sogno.
Inoltre, Aserinsky e Kleitman in ulteriori due lavori (1953, 1955) trovarono che 10 soggetti svegliati 27 volte durante gli episodi di sonno REM, in 20 casi erano in grado di riportare esperienze oniriche. Dement e Kleitman (1957) oltre a confermare la correlazione precedentemente evidenziata, rilevarono che i soggetti se interrogati circa la durata soggettiva dell’esperienza onirica, nella maggior parte dei casi indicavano un tempo equivalente alla durata oggettiva del periodo di sonno REM. L’dentificazione del sogno nel sonno REM, oltre che sull’evidenza di un racconto solo successivo a sonno REM (Dement e Kleitman, 1957) si poggiava sulla presenza d’immagini visive e sulla bizzarria dei contenuti riportati.
Relazione tra movimenti oculari e immagini visive del sogno
Già nel loro primo lavoro sul sonno REM, Aserinsky e Kleitman (1953) avevano ipotizzato una relazione tra i movimenti oculari e produzione onirica. Dement e Kleitman (1957) rilevarono che la dinamica dei contenuti dei sogni nei resoconti dei soggetti concordava spesso con la direzione dei movimenti oculari.
Secondo Dement e Wolpert (1958) i movimenti oculari ampi e frequenti sarebbero stati associati a sogni ricchi di azione e movimento, a carattere soprattutto visivo.
Tuttavia nei successivi studi questa ‘associazione non è risultata molto chiara ci sono stati, infatti, una serie di studi che non trovaro nessuna relazione tra movimenti oculari e produzione onirica:
- Moskovitz e Berger (1969) e Jacobs (1972), ottennero basse frequenze degli accoppiamenti tra REMs effettivi e quelli predetti.
- Bussel et al. (1972) dimostrò che la concordanza delle previsioni dei movimenti oculari con quelli effettivamente registrati è molto bassa in sonno REM così come in veglia, evidenziando i limiti di questa metodologia.
- Berger e Oswald (1972), osservarono contenuti onirici anche in presenza dei periodi REM caratterizzati da scarsi REMs dimostrando l’assenza di una relazione tra attività onirica e REMs.
- Presenza di sonno REM e REMs in soggetti ciechi dalla nascita (Amadeo e Gomez, 1966; Gross et al., 1965), così come nei gatti decorticati (Jouvet e Jouvet, 1963) e nei neonati (Monod e Pajot, 1965; Roffwarg et al. 1966).
Imovimenti oculari rapidi (REMs) come espressione del processo di recupero delle informazioni sensoriali?
Un’altra ipotesi che è stata formulata è quella che considera i movimenti oculari rapidi come l’espressione di un processo di recupero sensoriale.
Infatti, se si osservano gli occhi di una persona quando la obblighiamo a ricordare una immagine (Ad es. Quale figura compare su una banconota da 50 euro?”) si può osservare che il soggetto sposta gli occhi come se stesse cercando la risposta all’interno della sua mente.
Alcuni studi antropologici sulla struttura del sonno REM hanno confermato questa relazione, infatti, membri di tribù primitive, mostrano ridotti REMs rispetto ai soggetti occidentali.
Gli individui delle tribù studiate non essendo esposti a numerose stimolazioni come invece accade nel mondo occidentale avrebbero una ridotta elaborazione di informazione durante il sonno rispetto agli occidentali (Quadens e coll., 1975). A sostegno di questa ipotesi troviamo anche studi condotti su animali che hanno evidenziato un aumento del sonno REM e delle sue componenti fasiche (PGO, REMs) dopo sessioni di apprendimento intensivo.
L’altra attività fisiologica che è stata legata alle immagini visive del sogno è costituita dalle onde PGO, per le quali è stato utilizzato il termine di allucinazione (Dement et al., 1970; Roffwarg, 1975).
Infatti, gatti sottoposti a somministrazione di PCPA (ParaChlorPhenilAlanine, sostanza che trasferisce le PGO del sonno REM nella veglia), presentano stati comportamentali analoghi a un disturbi mentale.
La presenza di questa componente EEG nel sonno REM è utilizzata per spiegare l’attività onirica del sonno REM simile ad alcune patologie mentali. Tuttavia la relazione delirio e sogno non risulta tutt’ora chiara.
Sognare solo durante il sonno REM?
Come abbiamo visto, i primi studi (Aserinsky e Kleitman (1953, 1955; Dement e Kleitman 1957) attribuivano la modalità onirica esclusivamente al sonno REM, infatti, emergeva che dopo i risvegli sperimentali del sonno REM si ottenevano quasi sempre resoconti articolati e dettagliati di un attività mentale caratterizzata dalla sensazione di aver sognato, sia per la ricchezza della componente visuo-allucinatoria che per la presenza dei contenuti bizzarri; mentre tali riscontri erano sporadici se i risvegli erano provocati durante il sonno NREM.
Tuttavia, agli inizi degli anni 60, Foulkes trovò che un’attività simile al sogno poteva essere rilevata anche dopo risvegli da sonno NREM (nel 74% dei risvegli in sonno NREM, contro l’88% da sonno REM).
La discrepanza dei risultati con quelli precedenti, sembra attribuibile alla differenza di consegne utilizzate dagli sperimentatori. Nelle ricerche di Aserinsky e Kleitman, subito dopo il risveglio provocato, ai soggetti veniva chiesto: “cosa stavi sognando prima del risveglio?”, mentre Foulkes chiedeva loro “cosa ti passava per la mente prima del risveglio?”. Nel primo caso, la risposta dipende molto da che cosa significa sogno per i soggetti, mentre nella seconda consegna è necessario rilevare qualsiasi tipo di attività mentale.
I dati delle ricerche successive hanno quindi suggerito che le differenze tra i contenuti ottenuti dopo i risvegli in sonno REM e NREM siano di ordine qualitativo piuttosto che quantitativo.
Tale distinzione viene formalizzata nei lavori di Foulkes (1967;1970) nella dicotomia di attività “pensiero-simile” tipica del sonno NREM e di attività “onirico-simile” caratteristica del REM.
- sonno REM: attività onirica “onirico-simile”: sono presenti elementi, visivi, uditivi, e cenestetici; il cambio di identità del soggetto, l’ambiente non corrisponde ad ambienti reali o conosciuti. Possono comparire elementi bizzarri, vivaci e complessi.
- sonno NREM: attività onirica “pensiero-simile”: ridotta componente visuo-allucinatoria, minor coinvolgimento emotivo, numero inferiore di personaggi, predominanza di un pensiero astratto senza risonanza emotiva; inoltre sono di più frequente riscontro riferimenti alle proprie attività quotidiane (per es., vita familiare, scuola, lavoro), spesso collegati a riflessioni e preoccupazioni precedenti l’addormentamento Foulkes, 1962
Il quadro divenne più complesso quando Zimmerman (1970) trovò un’elevata frequenza di resoconti onirico-simile nel sonno NREM (72%) sovrapponibile a quella ottenuta nel sonno REM (79%).
Inoltre, nel 1972 Vogel et al., osservarono che i diversi periodi ipnici (Addormentamento, REM e NREM) non avrebbero contenuto un solo tipo di attività oniro-simili e pensiero-simile. Infatti, una percentuale dei resoconti REM (21-50%) appariva più simile al pensiero che alla fantasia onirica, mentre numerosi resoconti NREM (13,2-50%) si dimostrarono simili ai sogni.
Anche, successivi studi (Antrobus, 1983; Salzarulo e Cipolli,1979), che hanno analizzato i resoconti verbali del sonno REM e NREM non hanno trovato sostanziali differenze qualitative tra i due tipi di resoconti.
Nel complesso quindi appare criticabile sostenere un particolare tipo di attività mentale (pensiero o sogno simile) come esclusivo di uno stato di sonno. Appare più corretto esprimersi in termini di preponderanza relativa a una particolare forma elaborativa nel corso di uno specifico stato di sonno (REM e NREM) (Salzarulo, 2004).
Inoltre, bisogna ricordare che esperienze mentali simili al sogno sono presenti all’addormentamento (immagini ipnagogiche) e al risveglio (immagini ipnapompiche). La presenza di queste esperienze mentali per alcuni autori (Fischgold e Safar, 1968, vedi anche Maury) sono interpretabili come le prime espressioni del sogno. Infine, sottolineano che “il sogno non è solo REM” (Salzarulo et al., 2003).
ANALISI DEL CONTENUTO DEI SOGNI
Un altro approccio seguito per studiare le attività mentali del sogno REM e del sogno NREM riguarda le tecniche di tipo linguistico.
Antrobus (1983) confrontando i resoconti dei soggetti svegliati sperimentalmente in sonno REM o nello stadio 2 del sonno NREM ha indicato che la differenza principale tra i due tipi di sogno riguarda il numero di unità linguistiche che è più elevato dopo il risveglio da sonno REM, mentre le differenze relative alla dimensione dell’immaginazione visiva e del coinvolgimento emotivo sono apparse meno rilevanti tra i due tipi di sogno.
Le ricerche di Foulkes e Schmidt (1983) e di Cavallero e coll. (1990) che hanno studiato anche le unità temporali all’interno del resoconto onirico, invece, hanno riportato che i resoconti da sonno REM sono in media più lunghi rispetto a quelli del sonno NREM. Tuttavia in alcuni casi quest’ultimi sono uguali o addirittura più lunghi dei resoconti dopo risveglio da sonno REM.
Salzarulo e Cipolli (1979) hanno invece applicato le tecniche della grammatica generativo – trasformazionale di Chomsky all’analisi dei resoconti verbali provenienti dal risveglio dopo sonno REM e NREM. Ciò ha permesso di indagare il modo in cui avviene il recupero e la ricostruzione linguistica del sogno dopo il risveglio. Da questo studio è emerso che la differenza principale riguarda la maggiore lunghezza e complessità linguistica dei resoconti provenienti da sonno REM. Questi risultati sembrano derivare da una più limitata accessibilità alle fonti mestiche durante il sonno NREM e non tanto da differenze nella produzione di contenuti specifici in sonno REM e NREM.
Il problema del sogno rimane molto complesso, in quanto non è possibile analizzare direttamente i meccanismi della produzione onirica, ma solo indirettamente attraverso ciò che il soggetto recupera e racconta (Foulkes e Schmidt, 1983).
Il “generatore” del sogno
Le differenze tra i resoconti dopo risveglio da sonno REM e NREM rimandano al problema di com’è generato il sogno. In letteratura le principali teorie presuppongono l’esistenza di un “generatore” di tipo fisiologico: cioè di un “motore” che quando è attivo dà luogo al sogno. Questo è il caso della teoria del generatore unico (Foulkes, 1962) secondo la quale, la produzione del sogno sia nella fase REM e NREM si basa su processi comuni:
- attivazione della memoria;
- organizzazione del materiale mnestico in una struttura narrativa;
- interpretazione e critica del sogno da parte del sognatore.
Per Foulkes le differenze tra i due tipi di sogno derivano dai diversi processi fisiologici che caratterizzano il sonno REM ed il sonno NREM. La maggiore attività corticale presente in sonno REM, infatti, consentirebbe la consolidazione e l’accesso ai contenuti mentali del sogno e la loro organizzazione in una struttura narrativa coerente. Al contrario nel sonno NREM la minore attività corticale non favorirebbe questo tipo di elaborazione e consolidazione del materiale onirico.
La teoria del doppio generatore (Hobson, 1992; McCarley, 1994) deriva dal modello di attivazione sintesi (Hobson e McCarley, 1977) e assume l’esistenza di meccanismi diversi nella produzione del sogno REM e NREM. Il punto centrale di questa teoria fa riferimento ad un ”isomorfismo mente cervello”; nel senso che le caratteristiche fisiologiche di ciascuno dei due stati di sonno determinano la qualità mentale del sogno.
Infine, una ricerca di Nielsen (2000) propone l’esistenza all’interno del sonno NREM di un REM covert (mascherato) ovvero di attività fisiologica tipica del sonno REM responsabile della mentazione anche in sonno NREM (Salzarulo e Ficca, 2004).
Come si può osservare queste teorie sulla produzione del sogno si sono essenzialmente basate su una dicotomia fisiologica che contraddistingue i due stati di sonno REM e NREM, secondo cui ad ogni attività neurofisiologica corrisponderebbe una certa attività mentale. In questo modo la mentazione onirica è stata separata in due diverse forme perdendo di vista il sogno come un fenomeno globale (Salzarulo, 2000).
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