Tipologie del sonno.

Per tipologie del sonno ci si riferisce alle caratteristiche (abituali) dell’organizzazione sonno/veglia che si mantengono relativamente stabili nel corso della vita. Le principali tipologie del sonno riguardano:

La durata dell’episodio di sonno caratterizzata dai brevi dormitori coloro che dormono meno di 6,5 ore di sonno per notte  e lunghi dormitori coloro che dormono più di 8,5 ore di sonno per notte (Short sleepers e Long sleepers). 

La cronotipologia che caratterizza gli orari in cui le persone prefeiscono collocare l’episodio di sonno. A questa categoria appartengono i Mattutini e i Serotini (o anche Allodole e Gufi).

L’organizzazione circadiana del sonno. L’adulto sano abitualmente colloca solo un episodio di sonno nell’arco della 24 ore (ritmo sonno/veglia monofasico). Tuttavia, esitono individui che hanno l’abitudine a fare un sonnellino pomeridiano (ritmo sonno/veglia polifasico).

    Durata del sonno. I brevi e lunghi dormitori.

     La durata quotidiana del sonno è diversa e relativamente costante per ciascun individuo. Prendendo in considerazione un campione rappresentativo d’individui della stessa età emerge che la durata del sonno segue una distribuzione normale. Infatti, i giovani adulti dormono in media circa 7,5 ore con una deviazione standard (DS) di circa un’ora. Questo significa che circa il 65% delle persone dorme fra 6,5 e 8,5 ore e circa il 95% tra 5.5 e 9,5 ore (Horne, 1993 pag. 225).

    I soggetti la cui durata del sonno è inferiore alla media meno una deviazione standard (DS) (pertanto dormono 6,5 ore) sono definiti come short sleeper (brevi dormitori), mentre quelli che hanno una durata quotidiana di sonno superiore alla media più una deviazione standard (più di 8,5 ore) sono detti invece long sleepers (lunghi dormitori).  Si parla invece di brevissimi e lunghissimi dormitori quando ci si riferisce agli individui che dormono rispettivamente meno di due DS (5,5 ore) e più di due DS (9,5 ore) rispetto alla media e perciò rappresentano i casi più estremi della popolazione.

    Gli studi che hanno confrontato la struttura del sonno (vedi Webb, 1970) di queste diverse categorie di soggetti hanno mostrato che la principale differenza riguarda la quantità di stadio 2 e di sonno REM. Il sonno degli short sleepers, infatti, è molto simile, alle prime 6,5 ore dei soggetti di controllo (coloro che dormono 7,5 ore) e dei long sleepers . La durata di sonno nei brevi dormitori, non comporta una riduzione di sonno ad onde lente (che invece aumenta in termini percentuali) ma è caratterizzato soprattutto da una diminuzione a carico dello stadio 2. Il sonno dei brevissimi dormitori oltre a caratterizzarsi di quantità ridotte di stadio 2 mostra anche una riduzione di sonno REM senza differenze significative di SWS. Perciò, quello che sembra avvenire in quest’ultimi soggetti è un’interruzione anticipata di due ore rispetto ad un sonno normale.

    Queste ultime due ore, normalmente, sono proprio quelle più ricche di stadio 2 e sonno REM nei controlli, che sono i tipi di sonno ridotti nei brevissimi dormitori.

    Dall’altro lato, i lunghi dormitori, sembrano possedere un ciclo di sonno aggiuntivo che è simile a quello rilevato alla fine del sonno nei normo-dormitori (7,5 ore). Ciò spiegherebbe la quantità supplementare di stadio 2 e REM in questa categoria di soggetti.

    Dal punto di vista della qualità del sonno nei brevi e brevissimi dormitori si riscontrano scarse quantità di veglia intra-sonno, di stadio 1 e anche una minore latenza tra veglia ed addormentamento. In altri termini, hanno migliore qualità del sonno, infatti, esso è meno disturbato e più efficiente.

     

    Un altro punto interessante che contraddistingue gli short dai long sleepers, riguarda la notte di recupero dopo privazione di sonno.

    Uno studio condotto da Benoit, Foret e collaboratori  (1980) del Laboratorio del Sonno di Parigi ha sottoposto 5 soggetti che dormivano per brevi periodi (5 ore circa di sonno per notte), 5 soggetti che dormivano per lunghi periodi (in media 9 ore) e 9 normo-dormitori (in media 7 ore) a privazione di una notte di sonno (36 ore ininterrotte di veglia). Successivamente è stata studiata l’organizzazione della notte di recupero in tutti i soggetti. I risultati hanno mostrato che i soggetti che dormivano per periodi medi e in quelli che dormivano per brevi periodi, la quantità di sonno aumentava rispettivamente di circa il 25% ed il 33% rispetto ai valori abituali, mentre nei lunghi dormitori è stato riscontrato solo un aumento addizionale del 5% di sonno.

    Nel corso della notte di recupero è stato osservato un aumento del sonno ad onde lente di circa il 40% in tutti i soggetti, mentre il recupero del sonno REM è stato differente tra i diversi gruppi di soggetti, anche se minori nei soggetti lungo dormitori.

    Una possibile interpretazione (Horne, 1993 pag. 108) è che i long sleepers dormano in eccesso e perciò qualsiasi aumento di SWS dovuto dall’incremento della veglia precedente possa essere normalmente assorbito durante la notte di recupero senza richiedere un allungamento dell’episodio di sonno. Viceversa i medi, ma soprattutto i brevi dormitori che normalmente hanno una quantità di sonno prossima al minimo essenziale, necessitano d’incrementare la durate dell’episodio di sonno per recuperare il SWS e il REM, dovuti dalla privazione di sonno.

    Infine, una domanda è se dal punto di vista della personalità i brevi e lunghi dormitori mostrano delle differenze. Anche se sono molto pochi i casi documentati dei soggetti il cui sonno raggiunge i valori estremi (il 2,5% della popolazione che dorme meno di 5,5 ore e il 2,5% che ne dorme più di 9,5) le valutazioni effettuate con il Minnesota Multiphasic Personalità Inventory (MMPI) hanno mostrato che talvolta gli short sleepers possono presentare punteggi più alti alla scala di ipomania, mentre i long sleepers manifestano più frequentemente tratti depressivi

    I mattutini ed i serotini.

     Normalmente le persone tendono a localizzare l’episodio principale di sonno durante le ore notturne. Però l’abitudine ad anticipare o posticipare l’episodio di sonno rispetto a questo punto di riferimento, mostra delle differenze tra gli individui. Tendenze, che probabilmente anche in questo caso, possono, essere descritte da una distribuzione normale.

    Gli estremi, infatti, sono occupati dai soggetti definiti (Kleitman, 1939): mattutini e serotini. Queste due tipologie di soggetti si contraddistinguono per le loro diverse abitudini nell’orario di addormentamento e risveglio. I mattutini si addormentano prima la sera e si svegliano presto la mattina e raggiungono rapidamente la massima efficienza mentale dopo il risveglio. I serotini, invece tendono a coricarsi ed a svegliarsi a tarda ora, ed hanno una maggiore latenza nel raggiungere la massima efficienza che solitamente si verifica nelle ore serali.

    Questi due cronotipi possono essere identificati attraverso specifici questionari, come il Morningness Eveningness Questionnaire (MEQ), realizzato da Horne e Ostberg (1976).

    Infine, da uno studio (Horne e Ostberg 1976) è stato ipotizzato che queste differenze nella collocazione del sonno possono derivare da un’organizzazione diversa dei ritmi circadiani: in particolare, è emerso che nei mattutini il picco massimo (acrofase) della temperatura è anticipato rispetto ai serotini.

    Il sonno diurno: i nappers .

    Sebbene nel passato l’opinione comune fosse quella di considerare il ritmo sonno-veglia nell’adulto, monofasico, recenti interviste hanno messo in discussione questa credenza riportando frequenze di sonnellini diurni (naps) inaspettate. Le analisi effettuate con il Multiple Sleep Latency Test hanno confermato una possibile ciclicità bi-circadiana nella tendenza all’addormentamento: una quando la temperatura scende al livello minino in cui si situa l’episodio di sonno più lungo (quello notturno), e l’altra poco dopo il picco della temperatura in cui tende a situarsi quello più breve (Salzarulo e Fagioli, 1995).

    Generalmente la durata dei sonnellini, nell’adulto, varia da 15 a 150 minuti, e sembra non essere legata, come si credeva in passato, ai pasti (Stahl, Orr e Bollinger, 1983).

    Analizzando la struttura del sonno pomeridiano, si osservano delle differenze rispetto all’episodio notturno: nelle prime fasi (stadio 1 e stadio 2), l’attività oculare e maggiore e più frequente, il ritmo respiratorio più irregolare, e il tono muscolare antigravitario è minore. La discesa verso il sonno ad onde lente, inoltre è più veloce e dopo questo primo ciclo può seguirne un successivo, ma mai più di uno. Infatti, spesso il risveglio dal naps pomeridiano, avviene dopo la fine del primo ciclo o anche prima tra lo stadio 2 e il SWS, quindi in sonno NREM (Salzarulo, 1999 pag 21 e 22).

    La durata della siesta è stata messa anche in relazione con l’andamento della temperatura corporea (Campbell, 1992); nell’acrofase i sonnellini tendono a durare di più, rispetto a quelli che si trovano distanti da questo momento circadiano.

    Infine, la tendenza a dormire nel pomeriggio dipende anche dalle caratteristiche personologiche dell’individuo; per cui esistono persone che ricavano un beneficio psicologico dal sonno pomeridiano (siesta appetitiva), persone che invece dormono per recuperare una privazione di sonno parziale (siesta sostitutiva) ed i non-nappers, per i quali la siesta è spiacevole ed evitata (Fagioli e Salzarulo, 1995).

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    By altrimondi

    S.Aboudan PhD in Psicofisiologia del sonno Università degli Studi di Firenze

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