L’adattamento alla luce e alla forma nella retina: funzione di risposta mobile, fattore di convergenza e costanza di luminosità

La visione umana è un fenomeno complesso e affascinante, che coinvolge diversi livelli di elaborazione e interpretazione della luce. In questo articolo esamineremo alcuni aspetti della fisiologia e della psicologia della visione, con particolare attenzione alla struttura e al funzionamento della retina. La retina è una struttura sofisticata che trasduce la luce in segnali elettrici da inviare al cervello. La retina è composta da diversi tipi di cellule, tra cui i fotorecettori, i coni e i bastoncelli, che hanno una diversa sensibilità alla luce e ai colori. I fotorecettori sono collegati alle cellule gangliari, che trasmettono il segnale visivo al nervo ottico. Il rapporto tra il numero di fotorecettori e il numero di cellule gangliari si chiama fattore di convergenza e influisce sulla risoluzione spaziale e sulla sensibilità luminosa. Il sistema visivo si adatta alle variazioni di illuminazione ambientale, grazie alla rigenerazione del fotopigmento nei fotorecettori e alla modifica della funzione di risposta delle cellule gangliari. Questi meccanismi permettono di rilevare le variazioni di luce anche molto piccole e di mantenere la costanza di luminosità degli oggetti. La visione non è una semplice riproduzione della realtà, ma una costruzione attiva basata su differenze locali di luminosità, contrasti, bordi e altri indizi visivi

L’organizzazione centro-periferia delle cellule gangliari nella codifica dell’informazione visiva

cellule centro on e centro off
Organizzazione centro-periferia delle cellule gangliari. Nella figura esempio di risposta di cellule centro on e centro off a uno stimolo luminoso.

La retina è la parte dell’occhio che trasforma la luce in segnali elettrici da inviare al cervello. Per farlo, usa diversi tipi di cellule, tra cui le cellule gangliari, che sono i neuroni che formano il nervo ottico. Le cellule gangliari hanno un’area retinica chiamata campo recettivo, dove ricevono input dalle altre cellule della retina. Queste cellule sono sensibili alle differenze di luce tra il centro e la periferia del loro campo recettivo, che indicano i bordi degli oggetti. Questa informazione è utile per costruire un’immagine dell’ambiente.

La retina trasmette al cervello l’informazione visiva attraverso gli assoni delle cellule gangliari (vedi organizzazione del sistema visivo). Tuttavia, queste cellule sono solo 1 milione, mentre i fotorecettori sono 126 milioni. Quindi, la retina deve comprimere e riordinare l’informazione dei fotorecettori per inviarla al nervo ottico. Il primo passo di questo processo è individuare le differenze di luce tra zone vicine, che indicano spesso un contorno o un bordo. Questi bordi servono poi a costruire un’immagine dell’ambiente. Le zone con luce uniforme sono meno rilevanti perché raramente segnalano un bordo.

Le cellule gangliari sono il primo stadio in cui si estraggono le informazioni sulle differenze locali di luminosità. La loro attività dipende dalla stimolazione dell’area retinica corrispondente ai recettori connessi tramite le cellule bipolari. Questa area retinica si chiama campo recettivo della cellula gangliare. I fotorecettori in un determinato campo recettivo non stimolano semplicemente la cellula gangliare, ma hanno anche una disposizione particolare, detta organizzazione centro-periferia. Per esempio, se una luce colpisce il centro del campo recettivo, la cellula gangliare si eccita (risposta ON). Se invece la luce colpisce i fotorecettori alla periferia del campo recettivo, la cellula si inibisce (risposta OFF). Questa cellula è un esempio di organizzazione centro ON/periferia OFF. Ci sono anche cellule con una disposizione inversa. Questa interazione antagonista si chiama spesso inibizione laterale. Il campo recettivo di queste cellule centro-periferia è concentrico, quindi la cellula risponde bene a qualsiasi orientamento del bordo.

La funzione di risposta mobile delle cellule gangliari e i suoi vantaggi per il sistema visivo

L’occhio invia al cervello una grande quantità di informazioni visive attraverso le fibre del nervo ottico. Pertanto un’enorme quantità di segnali in entrata è riprodotta su un intervallo di segnali in uscita molto piccolo. Per gestire questo problema, il sistema visivo usa alcune strategie. Una di queste è che la risposta delle cellule gangliari si adatta all’illuminazione media della retina. Per esempio,in una cellula con organizzazione centro ON/periferia OFF l’ampiezza di risposta prodotta dal centro-ON dipenderà dall’intensità di illuminazione della periferia –OFF. In questo modo, la funzione di risposta della cellula gangliare è in grado di spostarsi.

Questa funzione di risposta mobile ha molti vantaggi rispetto a una funzione fissa.  Con una funzione fissa, il sistema visivo sarebbe insensibile a tutte le variazioni dei segnali in entrata che non fossero molto grandi, mentre con una funzione mobile può rilevare variazioni d’illuminazione anche molto piccole, inferiori all’1%. Inoltre, una funzione fissa sarebbe uno un sistema poco economico, perché le intensità luminose a cui il nostro sistema visivo è esposto sono comprese in un piccolo intervallo. Quindi, è più efficiente se l’intervallo di risposta delle vie visive si adatta all’intervallo delle intensità luminose presenti in un dato momento.

L’efficienza è maggiore se i segnali in entrata sono trasformati in segnali in uscita con una certa flessibilità, così che l’intervallo di operatività del sistema visivo possa cambiare con i livelli d’illuminazione ambientale. Questo cambiamento e la relativa variazione di sensibilità alla luce si chiamano adattamento alla luce. La variazione di sensibilità permette un fenomeno chiamato costanza di luminosità, per cui un oggetto appare sempre luminoso allo stesso modo, rispetto alle superfici vicine.

Ricapitolando, l’adattamento alla luce è la capacità del sistema visivo di regolare la sua sensibilità in base al livello di illuminazione ambientale. Questo permette di rilevare le variazioni di luce anche molto piccole e di mantenere la costanza di luminosità degli oggetti. L’adattamento alla luce dipende dalla modifica della funzione di risposta delle cellule gangliari, che si sposta in base all’illuminazione media della retina. Questo avviene grazie alla variazione della concentrazione di calcio nei fotorecettori, che cambiano il loro stato di attivazione in presenza di luce. L’adattamento al buio invece dipende dalla rigenerazione del fotopigmento nei fotorecettori, che si sbianca alla luce e si ricostituisce al buio. Questo processo richiede più tempo e spiega perché ci mettiamo più a vedere al buio che alla luce.

Spostamento di Purkinje: come cambia la percezione dei colori con la visione mesopica

Un’altra strategia consiste nella specializzazione e divisione dei compiti. I bastoncelli rispondono alle basse intensità mentre i coni a quelle alte.

A livelli di luminosità intermedi, c’è un certo grado di sovrapposizione tra i due sistemi recettoriali, essendo entrambi attivi (visione mesopica). In queste condizioni il sistema dei bastoncelli somma le sue risposte a quelle dei coni rossi, pertanto la nostra percezione  dei colori è spostata verso le lunghezze d’onda più corte. Questo effetto è denominato spostamento (o shift) di Purkinje. Questa divisione del lavoro è denominata teoria della duplice visione ed è stata scoperta da von Kries nel 1896.

Quando passiamo da un ambiente luminoso (occhio con una sensibilità minima poiché si è esaurito il fotopigmento) a uno buio, l’occhio ci mette un po’ di tempo ad adattarsi. Prima aumenta la sensibilità dei coni per 3-4 minuti, poi si stabilizza per 7-10 minuti e poi aumenta quella dei bastoncelli per altri 20-30 minuti. Questo succede perché i coni e i bastoncelli hanno una diversa velocità di rigenerazione dei pigmenti. Possiamo misurare questa velocità con il metodo della densitometria retinica che si basa sulla quantità di luce che l’occhio riflette: se il pigmento è consumato, riflette meno luce; se è rigenerato, riflette più luce. Se facciamo questo esperimento sulla parte centrale dell’occhio (fovea), dove ci sono solo i coni, vediamo che il pigmento si ricrea in circa 6 minuti; se lo facciamo su una parte periferica dove ci sono anche i bastoncelli, vediamo che ci vogliono circa 30 minuti.

l sistema visivo usa due tipi di fotorecettori, i coni e i bastoncelli, che hanno una diversa sensibilità alla luce. I coni sono attivi nelle condizioni di luce intensa e permettono di percepire i colori. I bastoncelli sono attivi nelle condizioni di luce scarsa e non distinguono i colori. Questa divisione del lavoro si chiama teoria della duplice visione. Quando passiamo da una condizione di luce a una di buio, o viceversa, il sistema visivo si adatta gradualmente alla nuova illuminazione. Questo avviene grazie alla rigenerazione del fotopigmento nei fotorecettori, che si consuma alla luce e si ricrea al buio. Il processo di adattamento al buio è più lento di quello alla luce. La sensibilità alla luce dipende anche dalla variazione della funzione di risposta delle cellule gangliari, che si sposta in base all’illuminazione media della retina.

Fattore di convergenza: come varia la visione tra centro e periferia della retina

I bastoncelli sono circa 120 milioni e i coni almeno 6 milioni. Queste cellule mandano i segnali a un altro tipo di cellule chiamate gangliari, che sono solo un milione. Quindi ci sono più bastoncelli e coni che gangliari. Questo significa che molti bastoncelli e coni devono condividere la stessa gangliare. Questo rapporto tra bastoncelli/coni e gangliari si chiama fattore di convergenza.

Il fattore di convergenza non è uguale in tutta la retina, ma cambia a seconda della posizione. Al centro dell’occhio, dove ci sono soprattutto i coni, il fattore di convergenza è basso: un cono per una gangliare. In periferia, dove ci sono soprattutto i bastoncelli, il fattore di convergenza è alto: centinaia di bastoncelli possono convergere su una gangliare. 

Il grado di convergenza determina la risoluzione spaziale influenzando la qualità della visione. Se il fattore di convergenza è basso, l’occhio riesce a distinguere bene i dettagli dell’immagine. Questa capacità si chiama acuità visiva ed è massima al centro dell’occhio. Se il fattore di convergenza è alto, l’occhio perde acuità visiva e vede meno dettagli. Però guadagna sensibilità alla luce. Se c’è poca luce, è meglio avere un campo recettivo grande, cioè una zona della retina dove ci sono molti bastoncelli che possono catturare la luce e mandare il segnale alla gangliare. Inoltre, i bastoncelli sono più sensibili dei coni in quanto hanno un diametro e una lunghezza maggiore, e la loro persistenza della risposta all’assorbimento di un fotone è più lunga  (ovvero hanno una maggiore probabilità di assorbire un secondo fotone mentre è ancora eccitato).

Riassumendo, il fattore di convergenza è il rapporto tra il numero di fotorecettori e il numero di cellule gangliari che ricevono il loro segnale. Esso varia a seconda della posizione nella retina: è basso al centro, dove ci sono più coni, e alto in periferia, dove ci sono più bastoncelli. Il fattore di convergenza influisce sulla risoluzione spaziale e sulla sensibilità alla luce: un fattore basso permette di vedere meglio i dettagli, ma richiede più luce; un fattore alto permette di vedere meglio al buio, ma riduce l’acuità visiva. I bastoncelli sono più sensibili dei coni perché hanno una dimensione maggiore e una persistenza della risposta più lunga

Conclusioni

In questo articolo abbiamo esplorato alcuni aspetti della visione umana, scoprendo come la retina sia una struttura sofisticata che trasduce la luce in segnali elettrici da inviare al cervello. Abbiamo visto come i fotorecettori, i coni e i bastoncelli, abbiano una diversa sensibilità alla luce e ai colori, e come il loro rapporto con le cellule gangliari determini la risoluzione spaziale e la sensibilità luminosa. Abbiamo anche appreso come il sistema visivo si adatti alle variazioni di illuminazione ambientale, grazie alla rigenerazione del fotopigmento e alla modifica della funzione di risposta delle cellule gangliari. Infine, abbiamo capito come la visione non sia una semplice riproduzione della realtà, ma una costruzione attiva basata su differenze locali di luminosità, contrasti, bordi e altri indizi visivi. La visione è quindi un fenomeno complesso e affascinante, che ci permette di interagire con il mondo che ci circonda.


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By altrimondi

S.Aboudan PhD in Psicofisiologia del sonno Università degli Studi di Firenze

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